di Sabrina Consolini
Il significato delle opere
È piuttosto netta la sensazione iniziale che alcune opere di A., le più materiche, immediatamente generano nell’osservatore, esattamente la sensazione di una mancanza di visuale o di visuale insufficiente, soffocata (Superfici Fratturate, Weave, God Disengagement).
È come se con queste opere egli volesse ricordarci che l’esistenza di ciascuno è circoscritta da un invisibile diaframma, una pellicola che la protegge dal mondo esterno. Quella che l’uomo riesce a concedersi è inevitabilmente un’occhiata furtiva, uno sguardo limitato su ciò che sta intorno, uno sguardo costretto a farsi largo tra le fitte trame difensive di un vero e proprio bozzolo (Weave-Trama, Superfici Fratturate). Ne consegue necessariamente anche una conoscenza molto limitata del mondo circostante.Accanto alle opere che alludono più apertamente agli invisibili muri che impediscono una profonda conoscenza dell’essere umano e della realtà che lo circonda (Superfici Fratturate, Weave-Trama), accanto ai muri dell’indifferenza sui quali persino una divinità si limita a trasudare come macchia su intonaco (God Disengagement– Disimpegno di Dio), ecco timidamente aprirsi i cieli, abbozzati, materici, gravidi di colore (Dense Sky), che pare vogliano convogliare gli sguardi verso orizzonti nuovi in nome di una labile speranza. Date le premesse, in un’ottica squisitamente antropologica si può indentificare questa speranza nell’avvento di una diversa concezione del vivere, di un mondo più a misura di essere umano.
Le enigmatiche, larghe campiture di colore di molte grandi tele istintivamente ricordano (o sono, come il titolo di alcune di esse indica chiaramente) soglie, portali, passaggi (Passages, Untitled). Esse danno l’impressione d’essere state concepite come una occasione ed al tempo stesso una provocazione. Una occasione di riflessione e di svolta oppure una vera induzione alla rivolta intellettuale, a compiere coraggiosamente un passo oltre, oltre i confini dell’ovvio e del proprio ristretto perimetro vitale. Anche con le singolari Flying Houses (esempio di ossimoro perfetto: non c’è niente di più immobile di una casa) in cui risuonano echi di Klee, Magritte, Chagall, l’artista sembra voler destabilizzare certezze, riabilitare il dubbio, attivare uno stato di allerta sui rischi connessi all’omologazione intellettuale, all’affievolirsi della curiosità e della sete di conoscenza.
Pur ispirato alla Divina Commedia dantesca, il Trittico “Sulle orme di Dante” (del quale quest’anno ricorre il 750° anniversario della nascita), è concepito come una pala d’altare “destinata ad un altare laico, quello del difficile cammino dell’uomo sulla Terra, un cammino fatto di coraggio e colpevole abulia, di svolte ed arretramenti, di profonda indifferenza e di luminosi esempi di solidarietà” (A. in una recente intervista, ndr). Al centro del Trittico, l’opera Passages punto di fuga prospettico, inno al coraggio ed alla speranza; a sinistra dell’osservatore l’opera della serie God Disengagement e a destra il grande pannello in legno Untitled (mixed media and lizard on wood panel, 121×150,5 – 2015). Quest’opera si presenta come una palizzata, alta, quasi invalicabile, logora eppure dotata di un forte potere suggestivo, capace di rievocare i silenzi ed i venti salmastri delle “finis terrae” così come il sole implacabile dell’infanzia, quel sole che nel tempo sospeso della torrida calura estiva e del mezzogiorno da bambini ci pareva potesse bruciare anche le anime oltre le cose. Eppure qualcosa era capace di resistergli; il guizzo di una piccola lucertola era l’improvvisa scintilla di vita. Nella storia dell’arte, nella tradizione proto-cristiana e presso diverse culture la lucertola ha assunto valenza simbolica di rinascita, di rinnovamento ed insieme di ricerca della verità, di veglia attenta tra occhi offuscati e menti obnubilate. Insomma è piuttosto chiaro che per l’artista, se esiste un Inferno, questo è sulla Terra; di essa, dei suoi abitanti dovremmo occuparci prima di tutto. Il Paradiso laico, il mondo nuovo, un mondo concepito e realizzato nel nome dell’uomo, è posto tra Purgatorio ed Inferno al centro di una domanda infinita, di una ricerca infinita, al termine di un percorso arduo, impervio – perché non sperare – verso una meta ideale, utopica se volete ma che tuttavia potrebbe essere l’inaspettato frutto di un “disguido del possibile”, per dirla con Montale.
Nel cammino di riscoperta dell’umanità, prigioniera della materia – del corpo – e di riscoperta del valore della memoria si situa l’opera Inner Life-Vita Interiore (della serie delle Vite Interiori). La “Bella Principessa”, cui è visibilmente ispirato il lavoro di A., è un’opera recentemente attribuita a Leonardo da Vinci dal Prof. Martin Kemp, tra i massimi esperti di Leonardo al mondo e da Pascal Cotte dell’Istituto Lumiere Technology di Parigi.
Qui però l’elemento principale che caratterizza la Bella Principessa è la raffigurazione del soggetto nel suo lato finora nascosto, il destro, il lato del viso che Leonardo aveva per sempre sottratto agli sguardi del mondo. L’inaccessibile emivolto, ora svelato, assurge a metafora del mistero che circonda la vita interiore dell’adolescente – come quella di ciascuno di noi – un magma di desideri, paure, pulsioni, lati oscuri. Il complesso ingranaggio innestato sul profilo, ora quasi evanescente, è parte di quel mistero svelato, è una proiezione degli insondabili ingranaggi interiori, è vita interiore; esso suggerisce inevitabilmente anche un movimento del tempo. La Bella Principessa è realmente esistita, nella sua unicità di essere umano, anzi è viva e lo è anche il mistero che ella porta con sé.
A guardarle bene, le Tiny Towns hanno l’aspetto di moderne rocche medioevali. Con queste opere l’artista sembra voler sottolineare il divario che si è prodotto tra il grande progresso tecnologico degli ultimi due secoli ed un non altrettanto poderoso ‘progresso’ dell’essere umano. Insomma la tumultuosa promozione scientifica e tecnologica non si è affiancata ad una pari promozione dell’uomo. Queste opere gettano un’aria sinistra sulle nostre grandi città svelandone la duplice natura, quella di agglomerati di alta tecnologia attraversati da una umanità tutto sommato antica, rozza, indifferente, ancora prigioniera dei propri bisogni primari. Una umanità che utilizza malamente le risorse, che pare trascurare l’universale bacino di sapere che la tecnologia rende immediatamente disponibile, prigioniera di disumane periferie, “assorbita nei suoi rituali arcaici come gli oroscopi, l’idolatria dell’animale domestico a scapito della cura dell’infanzia, lo “struscio” quotidiano nei social network” (A. in una recente intervista, ndr). Le logore parti elettroniche, i circuiti rottamati di cui sono composte le Towns contengono dati reali, informazioni, brandelli di vite. Risulta una complessa pianta cittadina, un intrico di palazzi e strade scollegate, spente, vuote in cui l’immobilità è sovrana, in cui il silenzio assoluto è la naturale risultante di una comunicazione superficiale, sincopata, inefficace.
L’oro presente su molti lavori inevitabilmente richiama l’oro dell’arte antica, l’oro dell’arte bizantina. Esso crea una sospensione temporale, suggerisce l’esistenza di una possibile dimensione trascendente con la quale è inevitabile prima o poi confrontarci o, alternativamente, di una superiore forma di conoscenza alla quale necessariamente aspirare.
The Meaning of Works
Some of A’s more “materic” works generate a very distinct feeling in the observer: a sense of confinement, of a limited, insufficient and suffocating perspective (Superfici Fratturate, Weave, God Disengagement). It is as if, with these works, he wants to remind us that the existence of each one of us is circumscribed by an invisible diaphragm, a transparent film that protects it from the exterior world. Man barely allows himself to steal a glance, a limited look at what surrounds him. He struggles to see through the thick, defensively spun layers of a veritable cocoon (Weave-Trama, Superfici Fratturate). This inevitability results in a very limited knowledge of the surrounding world. Next to the works that more openly allude to the invisible walls that impede a profound knowledge of the human being and of the world that surrounds him (Superfici Fratturate, Weave-Trama), next to the walls of indifference on which even a deity can do no more than to seep like a stain on plaster (God Disengagement– Disimpegno di Dio), the faintly sketched skies timidly open, impregnated with thick layers of colour (Dense Sky). They seem to want to direct our gaze towards new horizons in the name of an ephemeral hope. Given the premises, from an exquisitely anthropological point of view, this sense of hope translates into a new way of living and a world made to measure for the human being.
The enigmatic, sweeping, chromatic planes of many of the larger canvases instinctively recall (and actually represent, as some of the titles clearly indicate) gateways, portals, passages (Passages, Untitled). They appear to be conceived as an opportunity and, at the same time, a provocation. An opportunity for reflection, radical change or an instigation to intellectual revolt, to courageously go a step further, beyond the borders of the obvious and of one’s personal, restricted vital parameters. Even with the singular Flying Houses (perfect example of an oxymoron: there is nothing more immobile than a house) with distant echoes of Klee, Magritte, Chagall, the artist seems to want to destabilise certainty, re-habilitate doubt and activate a state of alert against the risk of intellectual homogenization, and the progressive loss of curiosity and thirst for knowledge.
Though inspired by Dante’s Divine Comedy, the Triptych “Along the path of Dante” (whose 750th birth anniversary occurs this year), is conceived as an altarpiece “destined to a secular altar, which celebrates the difficult journey of man on Earth, a journey of courage and guilty abulia, of twists and turns, of profound indifference and luminous examples of solidarity” [A. in a recent interview, Ed.]. At the centre of the Triptych, the work Passages, the vanishing point of perspective, is a hymn to courage and hope; to the left of the observer the work from the series God Disengagement and to the right the large wooden panel Untitled (mixed media and lizard on wood panel, 121×150.5 – 2015). This work presents itself as a tall, nearly insurmountable palisade, worn out yet still exuding a strong suggestive power, which recalls the silence and the salty winds of the “finis terrae” just as the merciless sun of our childhood days. That sun that in the suspended time of the scorching summer, midday heat we children thought could burn souls as well as things. Yet something was able to survive: the leap of a tiny lizard was like a sudden spark of life. In the history of art, in the proto-Christian tradition and in various other cultures, the lizard has taken on the symbolic significance of rebirth, transformation, the quest for truth and the vigilant mindfulness in the midst of blurred eyes and clouded minds. So it’s pretty clear that for the artist, if Hell exists, it is on Earth; before all else we should take care of our Earth and its inhabitants. The secular Paradise, the new world, a world conceived and created in the name of man, situated between Purgatory and Hell at the centre of an infinite question, and a never-ending quest, at the end of an arduous, gruelling journey – why can’t we hope? – towards an ideal destination, utopic if you will, but that could nevertheless be the unexpected fruit of a “glitch in what is possible”, to quote Montale.
Along the path on the journey of rediscovery of humanity, a prisoner of substance – the physical body – and the rediscovery of the value of memory, we find the work Inner Life-Vita Interiore (from the series Vite Interiori). The “Portrait of a Young Fiancée”, by which A.’s work is visibly inspired, is a work recently attributed to Leonardo Da Vinci by Prof. Martin Kemp, one of the foremost world experts on Leonardo, and by Pascal Cotte of the Lumiere Technology Institute of Paris.
In this case, however, the main element that characterises the Portrait of a Young Fiancée is the portrayal of the subject seen from the right, the side of the face that Leonardo had always kept concealed from the eyes of the world. The inaccessible semiface, now revealed, represents a metaphor for the mystery that surrounds the interior life of the teenager – just like the mystery in each one of us – a magma of desires, fears, impulses, dark recesses. The complex mechanism grafted on the profile, now almost evanescent, is part of that unveiled mystery, a projection of the unfathomable inner workings, interior life; it inevitably also suggests time in motion. The Young Fiancée really existed, in her uniqueness as a human being. In fact she is still alive and so is the mystery that she carries with her.
On second glance, the Tiny Towns look like modern medieval strongholds. With these works the artist seems to want to highlight the gap between the enormity of the technological progress of the last two centuries and a not-nearly-as-impressive development of the human being. In other words, the tumultuous promotion of science and technology has not been supported by an equally dynamic promotion of man. These works throw a sinister light on our metropolitan cities which reveals their dual nature: high technology agglomerates pervaded by what is substantially a primitive, coarse, indifferent form of humanity, still mired in its primary needs. A form of humanity that uses its resources poorly; that seems to neglect the universal body of knowledge to which technology provides immediate access; that is imprisoned in subhuman peripheries, “absorbed in its archaic rituals, horoscopes, the idolatry of pets to the detriment of the nurturing of childhood, the daily “promenading” throughout the social networks.” [A. in a recent interview, Ed.]. The worn-out electrical parts, the scrapped circuitry from which the Towns are made contain real data, information, shreds of lives. The result is a complex civic map, an entanglement of buildings and disconnected, lifeless, empty roads in which immobility is sovereign, in which absolute silence is the natural result of a superficial, syncopated, ineffective communication.
The gold present in many of A’s works inevitably recalls the gold of ancient art, the gold of Byzantine art. It creates a suspension of time and suggests the existence of a possible transcendent dimension with which sooner or later we must inevitably come to terms…or a superior form of knowledge to which we must necessarily aspire.